La mia faccia triste (Heinrich Boll)

26.02.2012 10:31

Mentre me ne stavo al porto a guardare i gabbiani,la mia faccia triste fu notata da un poliziotto che faceva la ronda nel quartiere. Ero tutto immerso nella contemplazione di quegli uccelli sospesi sull'acqua, che invano schizzavano su e si tuffavano in cerca di qualcosa di commestibile: il porto era deserto,l'acqua verdastra, spessa d'olio sudicio, e su quella specie di crosta galleggiava ogni sorta di rifiuti. Non si vedeva una nave, le gru erano arrugginite, i magazzini in abbandono. Pareva che neanche i topi popolassero le nere macerie lungo la banchina, tutto era silenzia. Già da molti anni era stato tagliato ogni collegamento con l'estero.
Mi ero fissato su un certo gabbiano e ne osservavo il volo. Impaurito come una rondine che sente vicino il temporale, svolazzava perlopiù rasente il pelo dell'acqua, e solo a tratti s'innalzava gracchiando per la sua traiettoria a quella dei compagni.Se avessi potuto esprimere un desiderio, avrei voluto una pagnotta per darla in pasto a quei gabbiani, farne tanti bocconi e dare un bianco punto di riferimento ai loro voli disordinati, stabilire una meta a cui potessero volare, tendere il gracchiante intrico di quelle arruffate traiettorie mediante il lancio di un pezzo di pane, afferrandole come un complesso di funi cui si dia una bella tirata. Ma anch'io ero affamato come loro,e stanco, ma felice, nonostante la mia tristezza. Ma a un tratto una mano ufficiale mi si posò sulla spalla, e una voce  mi disse: <<Venite con me!>>. E quella mano, intanto,mi tirava per la spalla, cercando di farmi voltare. Ma io non mi mossi, me la scrollai di dosso e mormorai, tranquillamente: <<Voi siete pazzo>>.<<Camerata>> disse quello, ancor sempre invisibile, <<attento a voi.>>
<<Caro signore>> risposi.
<<Non ci sono signori>> fece lui, adirato. <<Siamo tutti camerati.>> Poi mi venne accanto, mi guaedò di lato e io fui costretto a ritirare il mio sguardo, che vagava lontano, felice, e a indirizzarlo nei suoi occhi onesti: era serio come un bufalo che da anni non abbia più mangiato altro che il dovere.
<<Che motivo...>> volevo cominciare.
<<Motivo più che sufficiente>> troncò lui <<la vostra faccia triste.>>
Scoppiai a ridere.
<<Non ridete!>> La sua collera era sincera. Dapprima avevo pensato che si annoiasse perché non c'era da arrestare nessuna prostituta abusiva, nessun marinaio barcollante, nessun ladro o evaso, ma ora mi accorsi che faceva sul serio: voleva proprio arrestarmi.
<<Seguitemi!>>
<<E perché mai?>> chiesi, tranquillo.
Prima che avessi il tempo di accorgermene, il mio polso sinistro era già stretto in una catenella sottile, e in quell'istante capii che ero perduto di nuovo. Mi girai un'ultima volta verso i gabbiani vagabondi, guardai il bel cielo grigio e cercai, con uno strappo improvviso, di buttarmi in acqua, perché mi pareva più bello annegare da solo sia pure in quella sporca brodaglia che non venir strozzato in un cortile da qualche sgherro o tornarmene di nuovo in carcere. Ma il poliziotto, con uno strattone, mi aveva tirato così vicino a sé che ogni evasione era ormai impossibile.
<<E perché mai?>> chiesi ancora una volta.
<<Perché secondo la legge dovete essere felice.>>
<<Ma io sono felice!>> esclamai.
<<La vostra faccia triste...>> e crollò il capo.
<<Ma questa legge é nuova>> obiettai.
<<E' stata proclamata trentasei ore fa, e voi certo sapete che ogni legge entra in vigore ventiquattr'ore dopo la sua proclamazione.>>
<<Ma io non la conosco.>>
<<Ciò non vi esenta dalla pena. E' stata pubblicata ier l'altro attraverso tutti gli altoparlanti, in tutti i giornali, e a coloro>> e qui mi guardò prezzante <<e a coloro che non beneficiano né dei vantaggi della stampa, né di quelli della radio é stata resa nota mediante volantini lanciati su tutte le strade della repubblica. Adesso appureremo dove avete passato le ultime trentasei ore, camerata.>>
E mi tirò via. Solo allora notai che faceva freddo e che ero senza cappotto, solo allora la mia fame si fece sentire sul serio e prese a ringhiare davanti alla porta dello stomaco, solo allora mi resi conto ch'ero sporco, con la barba lunga, stracciato, e che esistevano delle leggi secondo le quali ogni camerata dev'essere pulito, sbarbato, felice e sazio. Il poliziotto mi spingeva davanti a sé come uno spaventapasseri che, convinto di furto, abbia dovuto abbandonare il regno dei suoi sogni al limite del campo.Le strade erano vuote, il commissariato non lontano, e benché sapessi già prima che avrebbero trovato ben presto un motivo per arrestarmi un'altra volta, pure mi sentivo il cuore pesante, perché il poliziotto mi conduceva attraverso i luoghi della mia giovinezza, che mi ero proposto di visitare dopo la sosta al porto: giardini che un tempo erano pieni di arbusti, belli di disordine, sentieri mezzo sepolti dal verde...tutto ciò, adesso, era pianificato, ordinato, pulito, squadrato, a disposizione delle patrie leghe, che il lunrdì, il mercoledì e il sabato ci venivano a fare le loro sfilate. Soltanto il cielo era come prima e l'aria come nei giorni in cui il mio cuore era pieno di sogni.
Qua e là, mentre passavo, vidi che in diversi lupanari stavano già esponendo l'insegna statale per coloro il cui turno di piacere igienico cadeva il mercoledì; anche diverse bettole sembravano autorizzate a mettere già in mostra l'insegna del bere, un bicchiere di birra fatto di lamiera, a strisce diagonali nei colori della repubblica: brunochiaro-brunoscuro-brunochiaro. Molta gioia regnava già, senza dubbio, nel cuore di coloro ch'erano inclusi nella lista statale dei bevitori del mercoledì e che tra poco si sarebbero scolata la birra del mercoledì.
Tutti coloro che incontravamo portavano in fronte il segno inconfondibile dello zelo, erano permeati dal fluido sottile della diligenza, tanto più vedendo il poliziotto; tutti acceleravano il passo, facevano una faccia ligia al dovere, e le donne che uscivano dai magazzini si sforzavano di dare al proprio viso l'espressione di gioia che si attendeva da loro, perché c'era ordine di dimostrare gioia, una vivace allegrezza per i doveri della donna di casa,ch'era tenuta, la sera, a rifocillare il lavoratore statale con una buona cena.
Ma tutte quelle persone ci scansarono abilmente, sicché nessuno fu costretto ad attraversare direttamente la nostra strada. Dove, lungo la via, appariva qualche segno di vita, spariva una ventina di passi davanti a noi, ciascuno si sforzava di entrare in fretta in un magazzino o di svoltare l'angolo e immagino che più d'uno sia entrato in una casa per lui sconosciuta e abbia atteso, pieno di paura, dietro il portone finché il rumore dei nostri passi non si fosse spento.
Solo una volta, mentre attraversavamo un incrocio stradale, incontrammo un uomo piuttosto anziano, che portava, come notai di sfuggita, il distintivo dei maestri elementari. Non poteva più scansarsi, ormai e pertanto si affannò, dopo che, secondo le prescrizioni, ebbe prima salutato il poliziotto (battendosi tre manate sul capo, in segno di assoluta soggezione), si affannò, ripeto, a fare il proprio dovere, che consisteva nello spurarmi tre volte in faccia, investendomi col grido obbligatorio di "sporco traditore". La mira la prese bene, ma laiornata era stata calda, la sua gola doveva essere secca, perché non mi colpirono che pochi miseri schizzi pressoché inconsistenti, che io, contrariamente alle prescrizioni, cercai di asciugarmi involontariamente con la manica.Dopo di che il poliziotto mi diede un calcio nel sedere e mi colpì con un pugno al centro della spina dorsale, soggiungendo con voce pacata:"Primo grado" vale a dire: prima e più blanda forma di punizione che ogni poliziotto può applicare.
Il maestro se n'era andato via in gran fretta. Tutti gli altri riuscirono a scansarci. Soltanto una donna che davanti a un lupanare stava prendendo la boccata d'aria prescritta prima dei piaceri serali, una biondina pallida e gonfia, mi lanciò un rapido bacio con la mano e io le sorrisi riconoscente, mentre il poliziotto faceva finta di non aver visto. Hanno l'ordine di permettere a queste donne delle libertà che inevitabilmente attirerebberosu ogni altro camerata i più gravi castighi.Dato infatti che contribuiscono in modo rilevante a stimolare il gusto al lavoro dell'intera comunità, le si lascia vivere tranquille ai margini della legge: una concessione i cui effetti sono stati bollati come un segno di liberalizzazione incipiente dal filosofo di stato dott. dott. dott. Bleigoeth nella rivista obbligatoria di filosofia (statale). L'avevo letto il giorno prima mentre ero in viaggio verso la capitale, quando trovai, nel cesso di una fattoria di campagna, alcune pagine della rivista che uno studente con molta probabilità il figlio del contadino - aveva corredato di glosse assai spiritose.
Per fortuna arrivammo al posto di polizia, perché proprio allora cominciarono a sonare le sirene, il che significava che le strade si sarebbero gremite di migliaia di persone con una blanda felicità dipinta in volto (C'era ordine, infatti, di non dimostrare una gioia troppo intensa al termine della giornata lavorativa, perché era come dire che il lavoro é un peso; giubilo, invece, doveva accompagnare l'inizio del lavoro, giubilo e canti): tutte quelle migliaia di persone avrebbero dovuto sputarmi in faccia.E'vero, però, che quelle sirene annunciavano che mancavano dieci minuti alla libera uscita, dato che ognuno aveva il dovere di sottoporsi per dieci minuti a un lavaggio scrupoloso, conforme alla parola d'ordine del capo di quel momento: felicità e sapone.
La porta del commissariato di quel quartiere - un semplice cubo di cemento armato - era sorvegliata da due sentinelle che, di passaggio, mi applicarono il consueto "provvedimento fisico": mi colpirono forte con la baionetta contro la tempia e mi picchiarono la canna delle loro pistole contro la clavicola, conforme al preambolo della legge statale n. 1 : "Ogni poliziotto deve dar prova ad ogni arresto del proprio potere, tranne colui che lo cattura, dato che a questi é riservato l'alto onore di prendere i dovuti provvedimenti fisici nel corso dell'interrogatorio". La legge n. 1, poi, ha il seguente tenore: "Ogni poliziotto può e deve punire chiunque si sia reso colpevole di una trasgressione. Per nessun camerata esiste un'esenzione della pena, ma solo la possibilità di essa".
Attraversammo un lungo corridoio nudo con molte grandi finestre. Poi si aprì automaticamente un uscio, perché intanto le sentinelle avevano già segnalato il nostro arrivo, e in quei giorni che tutti erano felici, onesti,ammodo, e ciascuno si sforzava di consumare, giorno per giorno, la libbra di sapone prescritta, in quei giorni l'arrivo di un arrestato costituiva un avvenimento.
Entrammo in una stanza quasi vuota, che conteneva soltanto uno scrittoio con un telefono e due sedie.
Quanto a me, dovetti mettermi al centro della camera;il poliziotto si tolse il casco e si sedette.
Dapprima ci fu silenzio e non accadde nulla.Fanno sempre così, ed é la cosa peggiore. Sentivo che il mio volto sfioriva sempre più, ero stanco e affamato e ormai s'era cancellata in me anche l'ultima traccia di quella strana felicità nella tristezza, perché sapevo di essere perduto.
Dopo pochi secondi entrò senza parlare, un uomo alto e smorto, che vestiva l'uniforme marroncina del pre-interrogatore. Si sedette senza dire una parola e mi guardò in faccia.
<<Professione?>>
<<Canerata semplice.>>
<<Data di nascita?>>
<<Primo gennaio dell'uno>> risposi.
<<Ultima occupazione?>>
<<Carcerato.>>
I due si scambiarono un'occhiata.
<<Dimesso quando e dove?>>
<<Ieri, penitenziario 12, cella 13.>>
<<Dimesso per dove?>>
<<Per la capitale.>>
<<Cerificato.>>
Cavai di tasca il mio certificato di scarcerazione  e glielo porsi. Lui lo fissò alla scheda verde che aveva cominciato a riempire con i miei dati.
<<Che delitto avevate commesso?>>
<<Faccia allegra.>>
I due si scambiarono un'occhiata
<<Spiegatevi>> disse il preinterrogatore
<<Quella volta>> spiegai, <<la mia faccia allegra fu notata da un poliziotto in un giorno in cui era stato ordinato il lutto generale.Era il giorno della morte del capo.>>
<<Durata della pena?>>
<<Cinque anni.>>
<<Condotta?>>
<<Biasimevole.>>
<<Motivo?>>
<<Scarsa applicazione al lavoro.>>
<<Chiuso.>>
Il preinterrogatore si alzò, mi venne incontro e mi fece saltare, con un pugno, i tre denti anteriori, in alto: segno che dovevo essere bollato come recidivo, un'aggravante che non avevo prevista. Poi il preinterrogatore uscì dalla stanza ed entrò un tipo grasso, con un'uniforme brunoscura: l'interrogatore vero e p0roprio.
Mi picchiarono tutti: l'interrogatore, il sovrinterrogatore, il capo interrogatore, il pregiudice e il giudice finale, e intanto il poliziotto applicava tutti i provvedimenti fisici previsti dalla legge. Per la mia faccia triste mi condannarono a dieci anni, come conque anni prima mi avevano condannato a cinque anni per la mia faccia allegra.
Ma io devo cercare di non avere più nessuna faccia,se riuscirò a superare i prossimi dieci anni con felicità e sapone...